Un modulo
nel nucleo accumbens per dirigersi a una meta
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 12 ottobre 2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La ricerca sulle basi cerebrali dell’orientamento
che guida la percorrenza esplorativa o strumentale di uno spazio secondo
tragitti appropriati per le esigenze di un animale è stata, fino a oggi,
dominata dall’individuazione delle mappe ippocampali e dal ruolo
cruciale della corteccia entorinale, e in termini cellulari è stata caratterizzata
dalle funzioni di place cells, grid
cells, border cells, head direction cells e altri tipi cellulari di queste aree.
Oggi sappiamo che le memorie spaziali guidano la
locomozione ambientale efficientemente verso le destinazioni desiderate, e
abbiamo una grande mole di dati su come questi pattern agiscono; e,
perfino nella cultura generale, sono entrate attraverso le metafore divulgative
della “mappa ippocampale” e della “bussola nella corteccia entorinale” le basi
neurobiologiche di questa guida cerebrale per percorrere le rotte possibili nell’ambiente
esterno. Ciò che oggi ancora non si conosce sono i meccanismi neuronici e di
circuito sottostanti la codifica della localizzazione delle mete e la
sua traduzione in percorso diretto a una meta.
Kanghoon Jung e colleghi hanno rilevato e dimostrato che i
topi rapidamente formano una memoria spaziale di un rifugio, durante
esperienze di rifugi, che guida il comportamento di fuga verso la
localizzazione della meta (il rifugio), quando i roditori sono sotto
minaccia. Il prosieguo della sperimentazione, che sarà esposto in dettaglio più
avanti, ha consentito di compiere una scoperta sulla base neurale della
traduzione della memoria in comportamento locomotorio diretto a un fine.
(Jung
K. et al., Dopamine-mediated formation of a memory module in the nucleus
accumbens for goal-directed navigation. Nature Neuroscience – Epub ahead
of print doi: 10.1038/s41593-024-01770-9,
2024).
La provenienza degli autori
è la seguente: Department of Neuroscience, Johns
Hopkins School of Medicine, Baltimore, MD (USA); Max Planck Florida Institute for
Neuroscience, Jupiter, FL (USA); Allen Institute for Neural Dynamics, Seattle,
WA (USA); Allen Institute, Seattle, WA (USA); Zuckerman Mind Brain Behavior
Institute, Columbia University, New York, NY (USA).
Forniamo
alcuni spunti di neurofisiologia dei sistemi entorinali in rapporto con quelli
ippocampali, per consentire al lettore di collocare lo studio qui recensito nel
più ampio quadro del campo di studi che indaga le basi neurobiologiche della
guida cerebrale all’orientamento locomotorio nell’ambiente[1].
L’intuizione
dell’esistenza nel cervello di una mappa cognitiva dell’ambiente da parte di
Edward Tolman è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri
autori, quale primo antecedente documentato dell’ipotesi di lavoro che portò
nel 1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire
nell’ippocampo di ratto una speciale mappa cognitiva dello spazio vissuto
dall’animale.
Grazie
al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire che la familiarità di un animale
con un particolare ambiente è rappresentata nell’ippocampo da uno speciale
schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di una popolazione di neuroni piramidali
detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule
si attiva quando un animale entra nella zona di spazio corrispondente all’area
di competenza
della cellula, il “campo di luogo”
o place field. Quando un animale
entra in un nuovo ambiente, nel giro di pochi minuti si formano nel suo
ippocampo nuovi campi di luogo, che
rimangono stabili per settimane o mesi. Per queste proprietà, se si registra
l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne l’informazione relativa a dove
si trovi esattamente l’animale in quel momento. In tal modo si ritiene che
l’ippocampo costituisca una mappa dinamica dello spazio circostante. La
dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima evidenza di una rappresentazione
cerebrale dell’ambiente che consente all’animale un’agevole ed efficace
traduzione delle intenzioni locomotorie in atti appropriati alle
caratteristiche dello spazio. Questa mappa
cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico, come la somatotopica del
tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è una rappresentazione che
si può definire allocentrica, essendo
fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri termini, è
una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui si trova
l’animale.
La
mappa cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni
seguenti, ha ottenuto numerose conferme sperimentali ma, sebbene la sua
esistenza fosse diventata una nozione consolidata nella didattica, rimaneva un
mistero come facesse questa popolazione cellulare a conoscere le informazioni
spaziali necessarie alla sua funzione. In altri termini, non si riusciva a
capire in che modo la mappa si costituisse, quale tipo di informazioni spaziali
e in quale modo giungessero a queste regioni dell’ippocampo.
Nonostante
l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005,
quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi
accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato
come una griglia che mappa lo spazio
nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[2]. I neuroni scoperti dai coniugi
Moser, detti cellule griglia
o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e,
a differenza delle cellule di luogo ippocampali
che si attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica
localizzazione, scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni
regolarmente spaziate a formare una griglia
o grata a maglie esagonali.
Questa grata consente al cervello di
localizzare il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate
cartesiane proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal
contesto, da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti
un luogo[3].
Le
informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo
il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi
convogliate all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole
rappresentazioni spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.
Un
filone recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi lavori, ha
affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale delle mappe spaziali
ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o dichiarativa[4].
Ritorniamo allo studio qui recensito di Kanghoon Jung e colleghi.
Vediamo in che modo si forma la base neurale della
rappresentazione spaziale del rifugio: i neuroni dopaminergici dell’area
tegmentale ventrale (VTA) e le loro proiezioni assoniche che formano
sinapsi sui neuroni del nucleo accumbens (NAc)
codificano segnali di “luogo sicuro” associati al rifugio. Segnali fasici
dopaminici optogeneticamente indotti erano sufficienti a creare una memoria
di luogo in grado di dirigere il comportamento locomotorio di fuga.
Il passo successivo della ricerca ha documentato che
gli input dopaminergici e glutammatergici, questi ultimi
provenienti dai neuroni dell’ippocampo, convergendo su NAc mediano la formazione di una memoria associata a uno
scopo (meta) all’interno di una sotto-popolazione di neuroni NAc durante le esperienze di rifugio.
Esperimenti decisivi hanno dimostrato che la
co-attivazione della sottopopolazione NAc
associata alla meta e dei neuroni del grigio periacqueduttale dorsale
era sufficiente ad innescare il comportamento di fuga guidato dalla memoria,
a differenza di quanto accadeva con attivazioni diverse che portavano a una fuga
random.
Questi risultati forniscono un’evidenza causale di
un circuito cognitivo modulare che lega la memoria alle azioni
dirette a una meta.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane Richmond
BM&L-12 ottobre 2024
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BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Le nozioni qui proposte in
estrema sintesi sono tratte da Note e
Notizie 28-11-15 Una lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del
Nobel nel 2014.
[2] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali aiutano ad esplorare
l’ambiente; Note e Notizie 06-10-07
Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce l’indicazione bibliografica
per esteso dei due lavori che hanno comunicato la scoperta da parte dei Moser, oltre
al riferimento al volume classico di introduzione all’argomento). Numerose
altre recensioni si trovano scorrendo l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE”
(dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE”
cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E NOTIZIE”).
[3] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato
dimostrato che la loro attività richiede il segnale dei neuroni che indicano la
posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si
raccomanda la lettura della recensione di una mia precedente recensione: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia
hanno bisogno del segnale delle cellule HD.
[4] La memoria esplicita è
costituita dalla memoria episodica e dalla memoria semantica.